Si è parlato tanto di carcere negli ultimi anni: dalle rivolte durante il lockdown e le mattanze di Modena e Santa Maria Capua Vetere, ai suicidi, che nel 2022 hanno fatto più vittime di quanto non sia mai avvenuto, fino alle inchieste per tortura e violenze che in Italia coinvolgono oltre 200 guardie penitenziarie.
Non era certamente indispensabile il recente rapporto del Consiglio d'Europa per svelare le condizioni all'interno dei penitenziari italiani: “oppressivi e sovraffollati”.
Solo in Piemonte sono tre le inchieste aperte per le violenze e le torture trapelate dalle carceri: Ivrea, Biella, Torino.
Trapelate perché la maggior parte degli abusi nei centri di detenzione vengono silenziati e insabbiati.
La retorica delle "mele marce" e dei progetti volti a rendere il carcere più “umano”, oltre ad essere smentite dai numeri e dalla realtà, sono chiaramente funzionali a mantenere saldo un sistema di privazione della libertà che è strutturalmente violento
Il 41bis rappresenta l’apice di questa violenza sistemica.
Alfredo Cospito, prigioniero anarchico rivoluzionario, ha portato avanti per 181 giorni uno sciopero della fame contro l’ergastolo ostativo e il 41bis, al fine di mettere in luce la sua natura di vera e propria tortura.
Il termine tortura per descrivere il sistema di violenza subito è stato più volte usato anche dai detenuti del Cpr di Torino. Le rivolte che hanno portato alla sua totale distruzione dimostrano come, con i pochi strumenti di lotta possibili dentro le prigioni, i reclusi continuino a lottare contro le proprie gabbie.
Ciò deve spingere a riflettere e a far propria l’importanza della solidarietà. Una solidarietà che sia presente e il più possibile contundente.
Una solidarietà fondamentale, non solo per rompere il muro di silenzio che imperversa sui sistemi detentivi, ma anche per tentare di rilanciare fuori da quelle mura il coraggio e la forza di chi lì dentro continua a lottare contro la brutalità della detenzione.