Con la resistenza palestinese
contro il governo Meloni complice di guerre e crisi sociale
Primo Maggio 2024 – Spezzone Sociale – ore 9 Piazza Vittorio
Stare dalla parte della resistenza palestinese significa per noi l’unica via per una prospettiva di liberazione collettiva.
La resistenza che sta venendo portata avanti è preziosa per tutti i popoli oppressi ed è stata in grado di rimettere al centro la questione palestinese: dopo decenni di apartheid, colonialismo e violenza usciti dagli schermi principali oggi il mondo intero è obbligato a rendere conto di quanto sta accadendo. Israele rappresenta l’unica democrazia del Medio Oriente ci dicono i governi e la narrazione dominante in Occidente: questo per noi significa, oltre che propaganda inaccettabile, la rappresentazione di una relazione di vassallaggio in un quadro in cui l’egemonia occidentale, incarnata dagli USA, è oggi sotto attacco.
Non possiamo che sostenere, aprire vie di liberazione, alimentare questa possibilità di rottura in un Occidente in crisi che pur di garantire il proprio ruolo a livello globale è disposto a mettere in ginocchio intere popolazioni, attraverso la guerra e la crisi sociale. Per questo oggi la resistenza palestinese deve rappresentare una possibilità di liberazione per tutti e tutte.
Alle nostra latitudini il Governo Meloni rappresenta da un lato, l’opportunistica e obbligata sottomissione all’asse atlantista nello scenario di guerra dentro i confini europei e, dall’altro, tenta di ricostruire un immaginario che possa legittimare gli interessi delle élites europee e delle nostre borghesie. La corsa all’armamento corredata da una retorica bellicista e militaresca caratterizzano ognuna di queste. L’utilizzo di un discorso pubblico razzista e islamofobo volto ad alimentare la crisi sociale in atto è uno dei modi che il governo ha messo in campo per nascondere le promesse tradite rivolte ai proletari. L’attacco all’Europa nel suo tattico piano green è il risultato di una propaganda sterile e vuota a fronte delle necessità reali dei territori di costruire una transizione ecologica e energetica dal basso. L’attacco alle donne, ai diritti fondamentali di autodeterminazione dei corpi, l’inaccessibilità alla cura e alla salute, la disgutosa strumentalità con cui sono stati trattati politicamente i femminicidi, non possono passare impunemente.
La questione del lavoro, sia esso regolare o – come succede per la maggioranza della popolazione – precario e sfruttato, è tornata sporadicamente al centro della cronaca nelle ultime settimane. La tragedia nel cantiere di Esselunga a Firenze e nella diga di Suviana sono soltanto alcune delle morti mediatizzate sui giornali, alle quali è seguita una reazione pallida da parte dei sindacati confederali che, per l’ennesima volta, sponsorizzano di scioperi di poche ore e parlano di incidenti sul lavoro come di una questione emergenziale. L’Italia ha la media più alta di morti sul lavoro in Europa, ma non possiamo parlare in termini di numeri di un tema che viene relegato a tavoli politici in cui non si affrontano le responsabilità. Le cause strutturali sono da ricercare in una dimensione di sfruttamento che si articola su più livelli, nell’esternalizzazione, nella parcellizzazione, nei subappalti, nell’etica di un lavoro che non esiste più e che nessuno riconosce come una possibilità di riscatto, ma anzi di palese sottomissione al ricatto della sopravvivenza. I giovani, le donne, i migranti sono le fasce sociali che più di tutte vivono questo meccanismo di sfruttamento e, al contempo, rappresentano la possibilità stessa per il sistema capitalistico di riprodursi, poiché senza di esse la macchina produttiva ed estrattivista andrebbe a interrompersi. In questo senso, è centrale guardare a questa eterogeneità come una reale possibilità di trasformazione e ribaltamento della catena del dominio.
In questa città conosciamo bene l’ingranaggio che tenta di silenziare e recuperare le emersioni sociali, da un lato tramite le tattiche militaresche e di restringimento degli spazi di libertà, messe in campo dalla questura e dalla procura torinesi per criminalizzare le lotte, dall’altro tramite il sistema di interessi e strizzatine d’occhio nel magma di chi cerca di mantenere tutto com’è per non dover rimetterci nulla, ma anzi, continuare a ingrossarsi le tasche indisturbatamente. Il recente caso di Salvatore Gallo, esponente di spicco del PD torinese nonché padre del consigliere regionale Raffaele e dell'ex assessore Stefano, altro non è che la rappresentazione plastica di un giro di interessi che il PD ha da sempre saputo coltivare. Una banale vita all’insegna della ricerca di voti, scambiati per mantenere la poltrona e per far procedere gli affari riguardanti le opere propedeutiche al TAV, in particolare i subappalti a Sitaf per i lavori del manto autostradale, è ciò che ha contraddistinto questa vicenda. E’ chiaro ai più che la presenza effettiva della ‘ndrangheta all’interno dei cantieri per l’alta velocità in Val di Susa non sia una novità e soprattutto non stupisce la vicinanza del Partito del Tondino e del Cemento a tali faccende.
Il Primo Maggio sarà occasione per rimettere al centro queste questioni, prendendo lo spazio per rappresentarle in uno spezzone sociale composito, eterogeneo, reale grazie alle lotte che dall’ecologia al transfemminismo, dall’antirazzismo all’opposizione alla guerra, contraddistinguono la parte viva di questa città.
Dobbiamo organizzarci, unirci, connettere profondamente le istanze che si collocano in ciascuna delle attivazioni sociali oggi. Abbiamo la necessità di costruire un fronte comune in grado di poter contare in un presente di sogni rubati e di terreno tutto da conquistare. Dopo le giornate di mobilitazione in occasione del G7 Ambiente e Energia torniamo in piazza per rompere il muro di silenzio mediatico che tenta di soffocare le spinte sociali dal basso che pretendono un vivere sostenibile, un futuro di riscatto, per noi e per tutti i popoli oppressi.