LA CITTA IDEALE?
“Cosa succede in città?”, si sono chiesti i numerosissimi partecipanti all’assemblea dello scorso 25 febbraio. Chi era lì ha manifestato, con la propria presenza, la coscienza di una crisi di civiltà dai tratti inediti, talvolta confusi, ma netti: l’insicurezza di chi si sente vulnerabile, a rischio di perdere casa, lavoro o futuro; la precarietà di chi vive situazioni insostenibili, perché intrappolato in occupazioni saltuarie, perché non ha né reddito né cittadinanza; la fragilità di chi è messo ai margini e non trova sostegni, ancoraggi, vie d’uscita. E il silenzio assordante degli ultimi tra gli ultimi: i migranti.
Eppure, con la propria presenza, i protagonisti di un incontro sorprendente, per la dimensione della partecipazione, per la chiarezza delle tesi esposte, per la lucidità dei problemi indicati, hanno disegnato implicitamente una prospettiva alternativa, in cui istanze e pratiche di partecipazione, condivisione e lotta possono trovare espressione. Uno scenario del possibile, in cui la grammatica del vivere comune può essere ripensata e rifondata attraverso il riconoscimento di voci e di esperienze plurali.
Hanno così trovato voce le proteste degli abitanti del quartiere Aurora, sottoposti a controlli polizieschi umilianti per ogni coscienza autenticamente democratica, le analisi dei “temibili” anarchici e delle loro lotte in prima linea contro i CIE, poi i CPR, e per il diritto alla città; le prospettive di quei movimenti antagonisti, al di là di ogni moralistica distinzione tra i “buoni” e i “cattivi”, che tanta parte hanno avuto nel tener desto il protagonismo sociale nella città dei “grandi eventi”; le preoccupazioni degli insegnanti messi di fronte al famigerato “decreto sicurezza”; le osservazioni obiettive di chi vede i processi di valorizzazione immobiliare di vaste zone metropolitane accompagnarsi all’espulsione delle fasce sociali refrattarie alle pirotecniche politiche ispirate da qualche studio d’architettura alla moda a beneficio della speculazione.
Nelle nostre società, troppo spesso repressione e demagogia prendono il posto del confronto razionale e della possibilità stessa di progettare un futuro diverso: ecco perché continuare a parlare, discutere, rifiutare l’obbedienza e la remissività intellettuale, rappresenta di per sé un fatto significativo.
Crediamo nella funzione pubblica dell’università e del sapere, e in questo scenario intendiamo promuovere e allestire spazi di discussione in grado di dare parola agli invisibili e ai subalterni.
Anche per questo, al fine di dare continuità all’incontro del 25 febbraio, proponiamo di trasformare il racconto in un confronto, puntale e onesto, sulle questioni che sono state messe in fila, iniziando dai temi delle trasformazioni urbane, che si presentano con le parole della valorizzazione e dell’innovazione, ma nascondono le ataviche inclinazioni delle classi dirigenti nazionali: il disprezzo di quanto è comune, lo stigma sui subalterni, la paura nei confronti di chi non si vende e per questo non si può comprare.
5 anni fa
Cavallerizza Reale
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